Battiato, dieci (strata)gemme

Il 18 maggio 2021, Franco Battiato ci ha lasciato. In questo mese o poco più, ho scelto dieci brani della sua sterminata produzione musicale, per provare a spiegare a me stesso e a chi avrà la pazienza di leggermi, cosa c’è dentro Battiato. Un piccolo approfondimento su un artista, mio conterraneo, che ho tanto apprezzato e che è, insieme a Fabrizio De Andrè, nella mia personale diarchia musicale.

10 – Di Passaggio

Di passaggio”, dall’album “L’imboscata”.
Come condensare un trattato di filosofia in una canzone? Se vuoi saperlo ti basta ascoltare il pezzo. Si apre con la profonda voce narrante di Manlio Sgalambro che cita in lingua originale un frammento del filosofo Eraclito di Efeso: «il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio sono la stessa realtà: questi infatti mutando sono quelli, e quelli di nuovo [mutando] sono questi.» È il tema dello scorrere del tempo, caro al filosofo del panta rei (tutto scorre), citato da Franco nel testo con un altro famoso frammento: “non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”. Accompagnato da un reef di chitarra tra i più belli e coinvolgenti mai sentiti, Battiato spiega che siamo di passaggio : tutto cambia ed è impossibile fermare il tempo, e mentre ci affanniamo nei nostri stupidi passatempi, nei nostri futili problemi, nelle sciocchezze di tutti i giorni, “intanto passa ignaro il vero senso della vita”.
E qual è questo senso? Ce lo spiega alla fine, con un’altra citazione in greco, questa volta del poeta Callimaco, cantata assieme ad Antonella Ruggiero. Eccola: «Dicendo “Addio sole!” Cleombroto d’Ambracia si gettò nell’Ade da un alto muro: non gli era accaduto alcun male degno di morte; aveva solo letto uno scritto, quello di Platone sull’anima.» Lo scritto di Platone sull’anima è il Fedone, in cui Socrate parla dell’immortalità dell’anima. Il corpo muta e muore ogni istante della nostra vita; l’anima invece è immortale e proprio per questo non bisogna avere paura della morte, anzi si deve imparare, nel corso della nostra vita ad accettarla serenamente.
Dunque il senso della vita è imparare a morire. Acquisire consapevolezza del “dopo”, capire che il corpo è il carcere dell’anima e che solo con la morte essa sarà libera. Così ha fatto anche lo stesso Battiato.

9 – LACRIME E PIOGGIA

“Lacrime e pioggia”, dall’album “Franco Battiato”
Parliamo di una cover. Franco nel 1982 interpreta il grandissimo successo degli Aphrodite’s Childs “Rain and tears”. Interpretata da tanti altri artisti italiani e stranieri, Rain and Tears è a sua volta, possiamo dire, una cover: infatti è un adattamento del meraviglioso “Canone” di Johan Pachebel. La straordinaria idea di Vangelis fu di riproporre il giro armonico di Pachebel e di affidare alla potente voce di Demis Roussos un romantico testo da affiancare al celebre motivo. Il testo fu tradotto in italiano dal paroliere Vito Pallavicini e interpretato da Battiato con la consueta maestria.

8 – INNERES AUGE

“Inneres Auge”, dall’omonimo album “Inneres Auge – Il tutto è più della somma delle sue parti”.
Dopo “Povera Patria” torna il Battiato politico, con una dura invettiva contro il malcostume della politica italiana, della “gente infame che non sa cos’è il pudore”. Sono i tempi delle famose “cene eleganti” del Cavaliere e il buon Franco non gliele manda certo a dire, nell’incipit iniziale :
“Uno dice che male c’è
A organizzare feste private
Con delle belle ragazze
Per allietare primari e servitori dello stato?
Non ci siamo capiti
E perché mai dovremmo pagare
Anche gli extra a dei rincoglioniti?”

Inneres Auge in tedesco significa “occhio interiore”, facoltà che permette ai mistici orientali di vedere le anime e di capirne la purezza in base al colore di esse. Oggi i modelli sono le anime nere dei potenti che dettano mode e diffondono il malcostume : sono coloro che, in un immaginario sistema di assi cartesiani, seguono “la linea orizzontale” che ci “spinge verso la materia”, mentre si dovrebbe seguire quella verticale che conduce verso lo spirito .L’uomo di cultura non può fare altro che trovare rifugio solo nella musica e nella poesia, e basta una sonata di Corelli per ritrovare la meraviglia del creato.

7 – L’OMBRA DELLA LUCE

“L’ombra della luce”, dall’album “Come un cammello in una grondaia”.
Il testo è un’invocazione, una preghiera verso l’essere supremo. Una canzone dalla spiritualità molto alta, di cui allego la meravigliosa versione in arabo (sottotitolata), cantata allo storico concerto di Baghdad, nell’Iraq di Saddam Hussein.
C’è tutto il misticismo di Battiato in questa poesia, i riferimenti alla reincarnazione, l’invocazione alla divinità di proteggere e difendere l’uomo nei momenti in cui è più indifeso, e la consapevolezza che anche le gioie più belle che passerai in questa vita, i piaceri più intensi e vivi, non sono altro che l’ombra della luce.
La nostra vita, infatti è solo una proiezione, l’ombra della vita celeste.
E chissà se il nostro, scrivendo questo testo non si sia ispirato, oltre ai mistici orientali e a Platone, anche a Giordano Bruno che, nel suo “De umbris idearum”, scriveva: “Invero nell’orizzonte della luce e delle tenebre nient’altro possiamo comprendere che l’ombra”.

6 – L’ANIMALE

“L’animale” dall’album “Mondi lontanissimi”.
“Vivere non è difficile, potendo poi rinascere cambierei molte cose”.
È l’incipit del brano, che già va controcorrente verso una certa tendenza dei giorni nostri a non voler cambiare niente di sé stessi. Ci riteniamo perfetti e se facciamo qualcosa di sbagliato, rifaremmo comunque quello che abbiamo fatto. Lo si legge in continuazione, anche qui sui social.
Perché? Perché siamo talmente egoisti ed egocentrici da non voler migliorare, andiamo fieri dei nostri errori invece di usarli per superarli.
Ed è il continuo incontro scontro tra passione e spirito, tra le pulsioni autodistruttive dell’es e le tensioni etiche del super-io teorizzati da Freud che Franco Battiato sintetizza magistralmente nel testo, oltre alle teorie del suo maestro Gurdjieff, su cui si basa gran parte della sua produzione.
L’animale che è dentro di noi ci rende schiavi delle passioni e non ci consente di innalzarci verso le stelle, verso una nuova evoluzione.
Ed è nel verso finale che si cela il vero dilemma : “e l’animale che mi porto dentro vuole te”. Rinunceremmo alle stelle per trovare l’amore?

5 – TUTTO L’UNIVERSO OBBEDISCE ALL’AMORE

“Tutto l’universo obbedisce all’amore”, dall’album “Fleurs 2”, e con la partecipazione di Carmen Consoli.
Potrebbe essere una risposta al dilemma dello scorso brano : rinunceremmo alle stelle per trovare l’amore?
Se le leggi eterne che regolano l’intero universo si piegano alla forza dell’amore, allora forse le stelle sono dentro di noi.
La schiavitù delle passioni terrene – sempre quelle de “L’animale” – ci impediscono di elevarci verso l’infinito. Però qui non si tratta di semplici pulsioni, ma dell’amore nel senso più alto del termine. Attraverso l’amore è la strada per l’assoluto, come si esplicita nella meravigliosa strofa “ed è in certi sguardi che s’intravede l’infinito”.
Tutto passa attraverso la vita in due, descritta dalla penna di Manlio Sgalambro: “rara”, “fatta di lievi gesti”, dove ci si muove “come ospiti, con delicata attenzione, per non disturbare”.
Per una coppia, non c’è augurio migliore di questa canzone, e per questo la dedico alla “mia”, di coppia.

4 – GLI UCCELLI

“Gli uccelli”, dall’album “La voce del padrone”.
L’album più popolare di Franco è un vero e proprio scrigno di gemme. Difficile scegliere tra le tante, ma “Gli uccelli” è una di quelle canzoni che devi sentire rigorosamente ad occhi chiusi per poterla apprezzare al meglio. Devi immaginare.
Battiato in questo brano coniuga in modo esemplare musica e poesia. A cominciare dal maestoso “largo” iniziale che, con sonorità ritmate alte e basse, sembra riprendere il calmo volo di un aquila. Ogni strumento musicale è scientemente usato per portare alla mente un’immagine : è così anche nel finale, dove il synth sembra un frullio rapido d’ali e i trilli acuti dei flauti un armonico cinguettio.
Oltre la musica, la poesia : gli uccelli popolano la sfera celeste, altrimenti tristemente vuota, e la solcano come macchine perfette seguendo “codici di geometria esistenziale” che “nascondono segreti di questo sistema solare”.
Sognare di volare come gli uccelli è sempre stata la massima aspirazione dell’uomo, noi ci accontentiamo di volare col pensiero, grazie a questo meraviglioso brano.

3 – NOMADI

“Nomadi”, dall’album “Fisiognomica”.
Il misticismo di Battiato è molto presente in “Fisiognomica”, che raccoglie diverse perle di difficile comprensione per chi non ha confidenza con la spiritualità orientale.
“Nomadi” non fa eccezione, perché partendo dal nomadismo come condizione di felicità umana, attraverso il tema del viaggio, si arriva al nomadismo dell’anima.
Il camminatore cerca pace e ospitalità: quando è dove potrà trovarle?
Quando: al crepuscolo del giorno, che rappresenta anche quello della vita.
Dove: alla fine della strada, il traguardo reale e metafisico dove il cerchio della vita si chiude e si entra, addormentandosi “sopra i guanciali della terra”, nei “bassifondi dell’immensità”.
È un “invito al viaggio”, alla rinuncia delle radici, delle passioni e del caos della mondanità, per raggiungere, camminando come solo i nomadi sanno fare, la pace e la tranquillità dello spirito, annullandosi in esso.

2 – UP PATRIOT TO ARMS

“Up patriot to arms” dall’album “Patriots”
Più di 40 anni fa Franco descriveva in questo storico pezzo la società odierna. L’attualità del brano è sconvolgente perché dipinge nei minimi dettagli lo stato di coma culturale della nostra società.
Il fanatismo di quelli che seguono gli ayatollah Khomeini di oggi; gli storditi dai fumi e raggi laser, effetti speciali di una società che vuole burattini e non esseri pensanti; la mercificazione del concetto di rivoluzione, la commercializzazione di falsi miti.
Tutto questo e tanto altro sta dentro Up patriot to arms, che altro non è che un desiderio di rivoluzione contro la mediocrità. Rivoluzione prettamente culturale, che deve partire da ognuno di noi, che “siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre”.

1 – TORNEREMO ANCORA

“Torneremo ancora”, dall’omonimo album del 2019, l’ultimo.
Quando ascoltai per la prima volta questo capolavoro, pensai che veramente fosse il testamento dell’uomo e dell’artista. Lo si intuiva dal modo di cantare, così fragile, accorato e intenso.
Chiamiamolo pure testamento, eppure è più che altro un messaggio. Che succederà quando moriremo? Per la filosofia di Battiato “torneremo ancora, ancora e ancora”. L’anima rinasce ad altra vita sconfiggendo la morte, e continuerà a rinascere fin quando non riuscirà a liberarsi dai legami delle passioni. E quando sogniamo, in realtà viviamo dei frame di vite già vissute.
Per dirla con le parole dell’artista stesso : “Tutti noi siamo esseri spirituali. Siamo in cammino verso la liberazione. Fino a quando non saremo liberi, torneremo ancora, più volte, a questa vita terrena. L’esistenza è ciclica e si ripete fino a quando l’anima non sarà del tutto libera dalle emozioni perturbatrici dell’ego che la tiene avvinta. Siamo esseri schiavi delle nostre emozioni, che ci dominano. La liberazione, invece, non può avere legami”.
L’anima senza legami, come i “migranti di Ganden in corpi di luce”, viaggia attraverso sentieri invisibili verso la definitiva liberazione.

È un pensiero, anzi una filosofia, amorevole e confortante, specialmente per chi ha perso qualcuno di caro, e per tutti noi che abbiamo perso Franco Battiato.

Comunione laica

È appena iniziato Mazinga su Odeon TV, gli anni ’80 che esplodono fuori e tu, nella tua splendida fanciullezza senza pensieri, che chiedi “zia, me la prepari la merenda?”
“E che ti faccio? Pane, burro e marmellata? Pane burro e sale? O pane con l’olio?”

Il pane con l’olio.
Il pane di paese, quello tondo, muddicusu, così fragrante che quando lo odori senti la terra che ne ha generato le spighe. La sua sacralità che si sublima quando i vecchi lo baciano, se per sbadataggine lo fai cadere a terra, e che si consacra quando un filo d’olio, preso dalla pesante giara di terracotta, gli si deposita sopra.
L’olio si compiace di finire sul pane, ne colma l’alveolatura, si distende uniforme sulla fetta coprendola come un vello d’oro di mitologica memoria. E come il vello d’oro, che aveva il potere di curare le ferite, l’olio ti guarisce dalle tue ansie e dagli affanni con la sua inesauribile pace, per dirla alla Neruda.
Grazie zia, non te l’ho detto mai e mai più te lo potrò dire, grazie per le merende di pane e olio, la comunione laica dell’uomo.

The pursuit of happiness

La mia generazione ha amato l’America. Siamo cresciuti col mito dell’America. Abbiamo masticato le Brooklyn, abbiamo guardato praticamente solo film e telefilm americani, abbiamo visto Hazzard, Magnum P. I., Mork e Mindy, Starsky e Hutch, e tantissimi meravigliosi film che ci hanno fatto sognare, abbiamo visto ET, i Goonies, i Gremlins, i Ghostbusters, fatto a pugni con Rocky Balboa e volato con Tom Cruise su un F-14 Tomcat, esplorato le fogne di NY con le Tartarughe Ninja, conosciuto il Far West con Rin Tin Tin e i fumetti di Tex, vestito Denim e Wrangler, letto Hemingway e Whitman, fumato una sigaretta sognando di essere l’uomo Marlboro e poi abbiamo ascoltato musica meravigliosa di americani meravigliosi, dai Creedence, a Bob Dylan, a praticamente tutti i grandi successi degli anni ottanta.Siamo cresciuti col sogno americano appiccicato addosso, noi che l’America è lontana, dall’altra parte della Luna. La terra dove tutto è possibile, the land of opportunities, dove ogni uomo ha il diritto a “life, liberty and the pursuit of happiness”, vita, libertà e alla ricerca della felicità.Ho sempre trovato meravigliosa questa espressione della carta costituzionale americana : la ricerca della felicità, un concetto così poco istituzionale e giuridico, così tanto potente, creativo e filosofico.Siamo cresciuti qui, in Sicilia, a Terrasini, provando a essere americani senza l’America, perché l’America l’avevamo dentro e non importa se giravi con una Duna scassata per le strade di paese, se con la testa eri alla guida di una Mustang sulla Route 66, e non importa se litigavi su chi doveva fare l’indiano e chi il cowboy, quando giocavi con gli amici nella tua stanzetta o tra le trazzere polverose che ti sembravano la Monument Valley.Eri un americano e basta. Senza passaporto. Poi siamo cresciuti e abbiamo scoperto i George Floyd d’America. Abbiamo scoperto il male di essere americano, ci siamo chiesti se l’America che conoscevamo non era che una luminosa scenografia di un teatro di burattini, e quando è arrivato George Floyd a strappare il cielo di carta di questo teatrino, il male è entrato nella scena, come un soffio, come un respiro strozzato da una compressione forzata della trachea, come una scarica di una sedia elettrica, come lo stantuffo di una iniezione letale di cloruro di potassio, come il waterboarding che ti mozza il fiato, come uno sparo a Columbine, come quando non riesci più a respirare e dici I can’t breathe.Vorrei non avere mai incontrato George Floyd perché volevo essere americano senza l’America. Senza strappi. Alla ricerca della felicità. Ma George, Cristo, quanto avrei voluto che tu fossi vissuto nella mia America e non nella tua.

Dantedì

Oggi è il #dantedì la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri

Dante ancora oggi è attualissimo e probabilmente lo sarà anche fra tremila anni, il suo messaggio è universale perchè parla all’uomo, indaga l’animo umano nelle sue debolezze e nelle sue qualità, spronandoci a essere migliori.

Nel primo canto de l’Inferno, ad esempio, il poeta tentando di uscire dalla famosa “selva oscura” trova sbarrato il passo da tre belve: una lonza (una sorta di lince), un leone e una lupa. Le fiere, specie la lupa, spaventandolo, lo costringono ad arretrare nel buio della selva, ma in suo aiuto accorre Virgilio, il grande poeta latino, il quale gli spiega che per salvarsi la vita dovrà fare un altro percorso: la lupa infatti uccide chiunque incontri, insaziabile, fin quando verrà uccisa da un “veltro” (un cane da caccia), che porterà all’Italia la salvezza.

Detta così non significa niente vero?

Bene, proviamo a dare un significato, ad andare oltre al testo:

– la selva oscura rappresenta il buio della ragione.

– le tre fiere rappresentano la lussuria (lonza), cioè l’attaccamento ai beni terreni; la superbia (leone); e l’avarizia o la cupidigia (lupa), la più pericolosa di tutte.

– Virgilio è la ragione umana.

– il veltro (il cane da caccia) rappresenta la via che conduce alla salvezza dell’uomo e dell’Italia (quindi del mondo) perchè esso si ciba di ” sapïenza, amore e virtute”.

Adesso che sappiamo orientarci raccontiamola meglio:

Quando l’uomo si fa trasportare dalle passioni malsane perde la ragione ed è in balìa dei peggiori vizi. Siamo attaccati alle nostre cose in maniera malata, egoista; diventiamo superbi perchè ci sentiamo migliori degli altri, desideriamo sempre di più: potere, denaro, prestigio sociale, fama. Diventiamo corrotti e avidi. Perdiamo di vista i veri valori della vita.

Ma, nel momento più nero della nostra vita, c’è sempre la ragione che può tirarci fuori dai guai; c’è la ragione che può mostrarci il sentiero giusto da seguire. E la via da seguire passa attraverso la conoscenza e lo studio (sapere è potere), il rispetto delle regole e, naturalmente, l’amore. Amore per se stessi e per gli altri.

Solo così potremo salvare noi stessi, l’Italia, il mondo, dal triste destino verso cui siamo diretti.

Ed è così che, anche in tempi bui come questi, dobbiamo fare affidamento alla ragione, non lasciarci trasportare dalla paura, dalla rabbia, dall’avidità. Solo così saremo in grado di uscire dalla selva oscura dei giorni in cui stiamo vivendo e potremo finalmente uscir “a riveder le stelle”.

Buona lettura

«A te convien tenere altro viaggio,»

rispuose, poi che lagrimar mi vide,

«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;

 

ché questa bestia, per la qual tu gride,

non lascia altrui passar per la sua via,

ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;

 

e ha natura sì malvagia e ria,

che mai non empie la bramosa voglia,

e dopo ’l pasto ha più fame che pria.

 

Molti son li animali a cui s’ammoglia,

e più saranno ancora, infin che ’l veltro

verrà, che la farà morir con doglia.

 

Questi non ciberà terra né peltro,

ma sapïenza, amore e virtute,

e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

 

Di quella umile Italia fia salute

per cui morì la vergine Cammilla,

Eurìalo e Turno e Niso di ferute.

 

Questi la caccerà per ogne villa,

fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,

là onde invidia prima dipartilla.

 

 

Inferno, Canto I, 91-111

Tema

Un cassetto pieno di carte, una carpetta. Dentro, tanti fogli protocollo a righe e un odore antico di carta lasciata al buio e all’asciutto per tanti anni. Sono le brutte copie dei miei temi del liceo, che avevo conservato e dimenticato, e che oggi mi hanno offerto un piccolo viaggio nel passato. Nel leggerli, riflettevo su una considerazione: oggi i temi si fanno ancora? Come ha influito la tecnologia sullo svolgimento dei temi? I temi di oggi si possono fare su Wikipedia o necessitano di uno studio e di un ragionamento mentale che esula dal semplice copia e incolla?

Un esempio lo si può trovare in questo tema sul Romanticismo che dovrei aver fatto a 17 anni e che ricopio qui di seguito perchè mi piace molto.

L’enunciato di un critico letterario, la richiesta iniziale di sostenerne le tesi, la seconda richiesta di ribaltarne completamente gli assunti, confutandolo. Un tema da pazzi in cui si deve dire tutto e poi il contrario di tutto facendo apparire giuste entrambe le tesi. Ecco, oggi gli insegnanti lasciano più temi del genere, e gli studenti sanno farli?

Buona lettura

 

Quando le guerre antinapoleoniche terminarono con l’avvento della Restaurazione, il Romanticismo divenne l’ideologia dominante di un’epoca di tenebroso oscurantismo. La magica notte illuminata dalla luna della Restaurazione dell’assolutismo feudale fu l’epoca dell’oscurità più profonda.

(G. Lukacs)

Si discuta il sopra riportato giudizio attraverso opportuni riferimenti agli autori e alle tematiche trattate e si tenti nel contempo di confutarlo producendo argomentazioni nettamente antitetiche.

 


 

Il periodo storico in cui si formò l’ideologia romantica fu un momento ricco di tensioni, di avvenimenti, di passioni, Insomma si presenta con molteplici sfaccettature. Così come il suo periodo storico, l’ideologia romantica ci appare molto diversa nei suoi contenuti interni, nelle sue passioni, nel suo modo di vedere la vita. E questa diversità la si può cogliere individuando i paesi nei quali si sviluppò il Romanticismo: praticamente in tutta l’Europa. E’ ovvio dunque che non potremo parlare di un Romanticismo, ma di tanti Romanticismi che assunsero connotazioni diverse a seconda della nazione nella quale svilupparono i punti cardine del loro pensiero.

Effettivamente, come afferma il Lukacs, con la Restaurazione si aprì per l’Europa un periodo di triste oscurantismo, in quanto con il ritorno all’ancien règime e con il legittimismo dinastico (ovvero il ritorno delle dinastie che tenevano sotto scacco l’Europa dei popoli) si ritornò allo status quo in cui si trovava il vecchio continente prima della Rivoluzione francese, rigettando con essa la teoria dei lumi e in generale la possibilità sostenuta da Kant di pensare con la propria testa, ritornando così in un epoca di profonda repressione delle idee liberali che portarono ai moti del 20-21. Fu inoltre un ritorno in un mondo in cui, con la strumentalizzazione di alcune idee del cristianesimo, vi fu il rafforzamento del potere papale, del potere temporale del papa che imponeva una oppressiva visione teocratica del mondo e della vita.

Ed è soprattutto in Germania che si sviluppò questa concezione, con il movimento preromantico dello Sturm und Drang (Tempesta e Furore) che, con uno slancio di violente passioni, di attacchi furiosi, di uomini che, come ci dice in una famosa citazione il De Ruggiero, sono agitati da fermenti interiori violentissimi, vogliono travolgere tutto o essere travolti dal tutto, determinati, violenti in amore, ha caratterizzato il periodo preromantico tedesco. Anche con lo Sturm und Drang abbiamo delle componenti che ci riportano ad un assolutismo feudale: la ballata Lenore del Burger, per esempio, ci trasporta in quel mondo nordico, feudale, oscuro, descritto nell’opera. I maggiori sturmer furono Goethe, Schiller e Ludwig Van Beethoven che trasportò anche nella musica le passioni violente dell’uomo romantico.

In generale dunque si ritornò al barbaro ed arretrato Medioevo, tralasciando le componenti razionali e sensistiche dell’Illuminismo a favore di un mondo economicamente malandato, senza un mercato e senza una disposizione mentale al rischio, al capitale e al consumo, che praticamente non esistevano.

Un mondo in cui l’uomo era soggiogato ed atterrito dal senso del peccato e della dannazione divina, in quanto il θεός sovrastava l’ἄνθρωπος impedendogli di agire verso una ricerca mentale di nuove concezioni e di nuovi stimoli. Insomma col pensiero degli ideologi della Restaurazione (Burke, Chateaubriand, De Maistre), nonchè con la visione di J. Herder del volk e della fiaba (importante perchè poesia popolare); con la durissima repressione della Santa Alleanza tra Austria, Russia, Prussia, Inghilterra, che menomavano le tendenze libertarie e popolari del tempo, possiamo intendere il Romanticismo come ideologia dominante di un periodo storico tenebroso, oscuro, chiuso.

D’altronde, avendo il Romanticismo molteplici sfaccettature, questo è solo uno dei tanti aspetti dell’ideologia romantica, un aspetto che convalida la citazione del Lukacs in quanto ne mette in luce le componenti tenebrose e torbide che sfociarono poi nei Reden di Fichte, vero precursore della follia razzista del nazismo. Infatti egli predicava l’incontrastata superiorità della lingua tedesca sulle altre di “schiatta germanica”, sin dai primordi, ed era una superiorità che da linguistica divenne ben presto razziale nei vagheggiamenti di Adolf Hitler sulla purezza ariana.

Sarebbe troppo poco però delimitare il Romanticismo con questa visione che, a mio parere, è troppo pessimistica e che può essere confutata proponendo argomentazioni antitetiche valide come quelle esposte nello svolgimento della tesi di Lukacs.

Infatti, il Romanticismo si può interpretare anche come l’ideologia che supera l’arido e freddo meccanicismo illuministico, portatore di concetti che limitano l’uomo in un monotono ciclo di nascita, trasformazione e morte, sempre identico a se stesso: il Romanticismo supera questa visione, che non ammette componenti metafisiche e trascendenti, attraverso la filosofia dell’Idealismo, che sostanzialmente affermava che l’unica realtà è lo Spirito che, pensandosi ed esplicandosi, crea le forme finite (le cose in sè, l’uomo) in un cammino evolutivo attraverso un processo dialettico basato sulla contrapposizione di una tesi e di una antitesi che danno origine a una sintesi. Questo cammino avrà termine solo quando, come dice il Novalis, miracolo del miracolo, egli vedrà se stesso. Quindi l’Idealismo e il Romanticismo superano il fisico per arrivare al metafisico, fuggendo il reale come Hölderlin, il quale vagheggiava il mondo greco come luogo ideale e che pregava gli dei di quel mondo di tornare sulla Terra, ma in Germania, in quanto depositaria della cultura greca.

Questa fuga dal reale fa comprendere la rivalutazione del Medioevo, visto come un parziale rispecchiamento dello Spirito in quel cammino evolutivo che attraversa tutte le epoche.

Oltre che in Germania, il Romanticismo si diffuse anche negli altri paesi europei, dove acquisì connotazioni diverse: in Inghilterra si avevano i miti dell’eroe nordico, esposti dal Macpherson, e le componenti e i toni sepolcrali di una letteratura il cui massimo esponente fu il Gray; in Italia, che dopo la Restaurazione fu definita dal Metternich come semplice espressione geografica, si sentiva il bisogno di liberarsi da quella situazione, e così l’intellettuale diventò militante, generoso, disposto a morire per la propria patria e per la propria nazione, vista come individualità storica, una nazione sacra, che era la terra degli antenati, luogo delle tradizioni indissolubili di un popolo: la massima espressione di questi ideali si ha con la poetica di Ugo Foscolo.

Quindi, in fin dei conti, era un Romanticismo che odiava i dispotismi della Santa Alleanza, che dava molta importanza alla fantasia, componente che mai sino ad allora era stata considerata; era un Romanticismo che, in opposizione alla solarità illuministica, rivalutava la magica notte e la luna, non più viste miopemente come forze del male; era un Romanticismo in cui il poeta diventava vate, come lo definì Victor Hugo, ovvero il poeta che aveva la sacra missione di annunziare ai popoli gli ideali in comune di nazione; inoltre, come disse il Berchet, anche il poeta-mago: ovvero il pensiero che nella parola e nella poesia vi fossero gesti magici nascosti, ed il poeta era il mago che ne deteneva i mistici poteri: da questa corrente si sviluppò la figura del veggente di Arthur Rimbaud.

Infine, non penso sia l’ideologia dell’oscurantismo, ma una ideologia i cui rappresentanti consideravano come la rivincita della fantasia sulla fredda ragione, e volevano far uscire l’Europa dalla situazione di crisi che la Restaurazione aveva prodotto, facendo scaturire in ogni singolo uomo gli ideali, fino ad allora soppressi, di nazione, del piacere e del dovere, dell’appartenenza ad una comunità che difenda i valori della propria patria, simbolo sacro dell’unità dei popoli.

Sapere è potere

In una discussione mi è stato detto che la cultura non c’entra nulla con le problematiche della gente. Ci ho riflettuto un po’: il ragionamento è sempre quello di tremontiana memoria per cui “con la cultura non si mangia “.

I problemi della gente si presume siano sempre gli stessi da secoli : il lavoro, la salute, una generica ricerca della felicità, i soldi, solo per citarne alcuni. Dunque ci si chiede come c’entri la cultura in tutto questo. Come può un libro farti diventare ricco? Come può un quadro renderti felice? Cosa c’entra una biblioteca con la mancanza di lavoro? O con la salute? 


Certo a prima vista nulla, ma basterebbe pensare che il sapere e la conoscenza sono potere. Un potere democratico perché alla portata di tutti, non di pochi. Ed oltre ad arricchirti nello spirito, ad emanciparti nella mente, a essere una persona migliore, questo potere ti aiuta anche ad avere – ed ecco le problematiche della gente – successo, fama, denaro.

A me piace pensare che tutti i grandi uomini e donne, scienziati, nobel, artisti, capi di Stato, inventori, autori, che hanno avuto fama e successo nella vita abbiano trascorso la loro giovinezza tra i polverosi scaffali della biblioteca della loro città, cercando, mentre sfogliano Moby Dick o un Hemingway a caso, di dare alla luce l’idea che gli cambierà la vita.

Mangiava e faceva mangiare

Di certo è un’espressione che almeno una volta nella vita abbiamo sentito dire tutti: “Almeno Tizio mangiava e faceva mangiare”. Ed è proprio questo comune sentire che dovrebbe far riflettere: si giustifica il potente del passato più o meno prossimo per lamentarsi delle attuali condizioni economiche e sociali o dello stato in cui sono ridotte le Istituzioni.

“Ti ricordi quando c’era Craxi? Si stava bene allora, la lira girava, almeno lui mangiava e faceva mangiare, adesso sono tutti dei banditi”. “Che erano belli i tempi di Cuffaro, con lui ci potevi parlare, era uno che mangiava ma almeno faceva mangiare”. “La Democrazia Cristiana ha rovinato l’Italia ma almeno loro mangiavano e facevano mangiare”… e via continuando fino a giungere all’apologia del prepotente, del boss mafioso, colui che “vabbè macari era tintu, ma u pani ai picciotti un lu faceva mai mancari”.

A ben pensarci siamo cresciuti con questa sottocultura invisibile, impalpabile eppure ben presente e viva attorno a noi e in noi stessi. E’ una forma mentis che abdica all’individualismo, al rischio d’impresa, al farcela con le proprie forze, al riuscire nei nostri progetti di vita perchè siamo legati  come tanti clientes al seguito del Publio Clodio di turno. Che poi sia un delinquente, un pappone, un’analfabeta, differenza non fa: “era uno con i suoi difetti” ma diffondeva quel benessere che in realtà non ci si rende conto essere una polpetta avvelenata.

Già perchè a furia di mangiare, a furia di ingozzarsi loro potenti, burocrati e criminali, a furia di ricevere briciole di benessere effimero, è fatalmente arrivato il momento di saldare il conto: 60 anni di mangiare e far mangiare hanno provocato solo debiti che paghiamo a caro prezzo, stipendi e pensioni misere, tassazione alle stelle ed una classe politica tra le peggiori del mondo. Hanno provocato accondiscendenza e cultura paramafiosa od omertosa, giustificazionismo e lassismo, indolenza e sciatteria.

Non rivangate più quei tempi, mangiate voi e non fate mangiare gli altri.

Paradossalmente mangeremmo tutti.

Come si sta bene al mondo gl’imbecilli

Febo“I barboni sono randagi scappati dalle nostre case, odorano dei nostri armadi, puzzano di ciò che non hanno, ma anche di tutto ciò che ci manca. Perché forse ci manca quell’andare silenzioso totalmente libero, quel deambulare perplesso, magari losco, eppure così naturale, così necessario, quel fregarsene del tempo meteorologico e di quello irreversibile dell’orologio.”

E’ una citazione di Margaret Mazzantini che può essere utile a descrivere, solo in parte, un personaggio che molti di noi hanno conosciuto, magari solo di vista, con uno sguardo tra il curioso e il mediamente perplesso – diffidente. Si tratta di Febo che giorno 13 febbraio 2010 ci ha lasciato.

Ho avuto modo di chiaccherare con lui alcune volte e ho scoperto un personaggio dalle qualità profonde. Non era un barbone, non era un reietto ma una persona che ha interpretato il senso della vita in una maniera diversa da quella convenzionale. Sosteneva di essere sfuggito alla guerra e di avere avuto accesso a una qualche forma di sussistenza dichiarandosi “scemo di guerra” come si usava dire ai suoi tempi. Eppure aveva una erudizione straordinaria, affrontava discorsi di storia, filosofia, letteratura, attualità con una competenza che lasciava sbalorditi. E se gli facevi notare che non era affatto scemo, si imbufaliva.
Offriva quotidianamente una arancina ai cani randagi della piazza non perchè fosse affezionato a loro, ma perchè, sosteneva, la fame è una brutta cosa.

Ha una moglie, una signora silenziosa e gentile. Quando erano assieme, lo vedevi diverso. Non era più l’esuberante pazzoide con l’inconfondibile voce stridula e l’accento fiorentino, ma si muoveva e parlava in modo “normale”, pacato, tranquillo. Non so perchè, credo però per una forma di tenerezza, per ripagarla di essergli stato vicino nonostante tutto.

Ha scelto Terrasini come paese d’elezione, scappando per motivi oscuri, e trovando una routine, uno stile di vita che lo soddisfaceva.
Non dobbiamo ricordarlo come una macchietta che colorava le nostre giornate e il nostro tempo libero trascorso in piazza, ma come un maestro di vita, che ha provato a lasciarci dei suggerimenti per trascorrere un’esistenza al di fuori delle pastoie che ci tengono legati a noi stessi e alla società.
Uno di questi, forse il suo manifesto letterario è questo: quando ti guardava, e prima di andarsene concludeva i suoi discorsi dicendo con inconfondibile cadenza toscana “come si sta bene al mondo gl’imbecilli!”

Ho creato questa nota il 14 febbraio 2010, la ripropongo oggi per ricordare il valore di una vita libera.