The pursuit of happiness

La mia generazione ha amato l’America. Siamo cresciuti col mito dell’America. Abbiamo masticato le Brooklyn, abbiamo guardato praticamente solo film e telefilm americani, abbiamo visto Hazzard, Magnum P. I., Mork e Mindy, Starsky e Hutch, e tantissimi meravigliosi film che ci hanno fatto sognare, abbiamo visto ET, i Goonies, i Gremlins, i Ghostbusters, fatto a pugni con Rocky Balboa e volato con Tom Cruise su un F-14 Tomcat, esplorato le fogne di NY con le Tartarughe Ninja, conosciuto il Far West con Rin Tin Tin e i fumetti di Tex, vestito Denim e Wrangler, letto Hemingway e Whitman, fumato una sigaretta sognando di essere l’uomo Marlboro e poi abbiamo ascoltato musica meravigliosa di americani meravigliosi, dai Creedence, a Bob Dylan, a praticamente tutti i grandi successi degli anni ottanta.Siamo cresciuti col sogno americano appiccicato addosso, noi che l’America è lontana, dall’altra parte della Luna. La terra dove tutto è possibile, the land of opportunities, dove ogni uomo ha il diritto a “life, liberty and the pursuit of happiness”, vita, libertà e alla ricerca della felicità.Ho sempre trovato meravigliosa questa espressione della carta costituzionale americana : la ricerca della felicità, un concetto così poco istituzionale e giuridico, così tanto potente, creativo e filosofico.Siamo cresciuti qui, in Sicilia, a Terrasini, provando a essere americani senza l’America, perché l’America l’avevamo dentro e non importa se giravi con una Duna scassata per le strade di paese, se con la testa eri alla guida di una Mustang sulla Route 66, e non importa se litigavi su chi doveva fare l’indiano e chi il cowboy, quando giocavi con gli amici nella tua stanzetta o tra le trazzere polverose che ti sembravano la Monument Valley.Eri un americano e basta. Senza passaporto. Poi siamo cresciuti e abbiamo scoperto i George Floyd d’America. Abbiamo scoperto il male di essere americano, ci siamo chiesti se l’America che conoscevamo non era che una luminosa scenografia di un teatro di burattini, e quando è arrivato George Floyd a strappare il cielo di carta di questo teatrino, il male è entrato nella scena, come un soffio, come un respiro strozzato da una compressione forzata della trachea, come una scarica di una sedia elettrica, come lo stantuffo di una iniezione letale di cloruro di potassio, come il waterboarding che ti mozza il fiato, come uno sparo a Columbine, come quando non riesci più a respirare e dici I can’t breathe.Vorrei non avere mai incontrato George Floyd perché volevo essere americano senza l’America. Senza strappi. Alla ricerca della felicità. Ma George, Cristo, quanto avrei voluto che tu fossi vissuto nella mia America e non nella tua.